New Delhi (Agenzia Fides) – Sono trascorsi dieci anni da quando gli altipiani di Kandhamal, distretto dello stato indiano di Orissa, sono stati testimoni di uno degli episodi più sanguinosi di violenza comunitaria scatenati sulle minoranze cristiane in India. Dalit e tribali cristiani si trovarono sotto attacco di gruppi fanatici induisti. Uccisioni, stupri, incendi dolosi, chiese rase al suolo: una ondata di terrore, configuratasi come una vera “pulizia etnica” ha tormentato il distretto per settimane. Le cicatrici frutto di impunità, assoluzioni dei colpevoli, spostamento forzato di masse di popolazione hanno lasciato una scia di che paura continua a perseguitare i sopravvissuti. In tale questo contesto alcuni attivisti per i diritti umani si sono riuniti a Kandhamal per celebrare il decimo anniversario della violenza, previsto nella giornata del 25 agosto, giorno in cui i massacri iniziarono. Lo slogan di questi incontri è “Mai più”.
“Ricordare la tragedia di Kandhamal dovrebbe essere un esercizio per forgiare una più forte unità tra le varie minoranze perseguitate in India – sikh, cristiani, musulmani, dalit e tribali – e spingere tutte le forze democratiche a serrare i ranghi contro il terrore degli estremisti indù. Il decimo anniversario di Kandhamal dovrebbe essere un’occasione non solo per ricordare i pogrom contro i cristiani ma per impegnarsi perchè non accada mai più”, spiega all’Agenzia Fides il sacerdote a attivista cattolico p. Ajaya Kumar Singh testimone diretto della tragedia dell’Orissa.
“La Giornata per Kandhamal, il 25 agosto, vede radunarsi migliaia di persone per ricordare quanti hanno perso la vita nella violenza e per esprimere solidarietà con i sopravvissuti che ancora soffrono”, rileva. Le celebrazioni culmineranno a Bhubaneshwar, capitale dell’Orissa, con una speciale Messa per la pace e la riconciliazione, celebrata dall’Arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, mons. John Barwa. Manifestazioni di solidarietà si prevedono in molte altre città indiane. A Delhi è previsto un e dialogo tra le vittime di ondate di violenza comunitaria con mostre fotografiche, proiezioni di film documentari e il lancio di un archivio popolare sui massacri dell’Orissa.
“E’ imperativo portare alla ribalta gli orrori di quei giorni, largamente dimenticati, in modo che non avvengano più e che si possano imparare lezioni appropriate”, dice a Fides Joe Athialy, attivista indiano di Delhi.
La tragedia è apparentemente sorta dopo l’uccisione del leader indù, Swami Laxmanananda, il 23 agosto 2008, di cui furono ingiustamente accusati i cristiani. Successive inchieste hanno rivelato mesi di pianificazione, organizzazione accurata e mobilitazione di risorse che hanno reso possibile un attacco diffuso e coordinato. Estremisti indù furono autorizzati a marciare attraverso il distretto portando in corteo il cadavere di Laxmanananda, una mossa che accese l’odio e la furia. Secondo le stime del governo, nella carneficina furono uccise 39 persone, ma i gruppi per i diritti umani portano il numero delle vittime a 100. Più di 40 donne sono state violentate, molestate o maltrattate; 393 chiese e luoghi di culto furono rasi al suolo. Persino le scuole, case per lebbrosi e centri sociali non sono stati risparmiate. Nell’ondata di violenza 2.000 persone sono state “riconvertite” con forza all’induismo. In tutto, oltre 600 villaggi sono stati saccheggiati, 6.500 case sono state bruciate e almeno 56.000 persone sono state costrette all fuga, lasciando per sempre la loro terra e le loro proprietà.
“Da allora – rileva Joe Athialy – molte persone hanno lasciato il distretto Kandhamal a causa della mancanza di sicurezza. Molti non sono mai tornati nei loro villaggi nativi a causa del fatto che lo stato non solo non è riuscito a punire gli autori, ma ha anche fallito nel garantire la sicurezza. Gli adulti hanno perso il loro sostentamento mentre i bambini sono stati privati del diritto all’istruzione”. Migliaia di persone sono emigrate per vivere in baraccopoli in altre città. “La pace e la riconciliazione si sono rivelate una farsa in quanto è chiaro che non potrebbe esserci pace senza giustizia”, aggiunge Athialy.
I segnali di allarme per tale violenza erano evidenti già nel 2007, quando ci furono diversi episodi premonitori. Durante gli anni ’80 e ’90, erano comuni nell’area i discorsi di odio aperto di estremisti contro i cristiani e tali campagne non furono scoraggiate dall’amministrazione statale.”Tale passività esiste ancora oggi e serve come fattore che contribuisce all’attuale popolarità dell’approccio estremista”, nota l’attivista.
“Il governo statale e i funzionari pubblici non sono intervenuti per fermare l’ondata di violenza e ne sono dunque complici”, rileva. All’indomani dei pogrom, il sistema di giustizia penale non ha protetto i perpetratori e ha esposto i sopravvissuti a minacce e intimidazioni. Il rifiuto di registrare denunce, un’inchiesta scadente e tendenziosa, false accuse contro i danneggiati hanno contribuito a rendere inabile la giustizia. “Oggi i sentimenti vanno dalla rabbia alla frustrazione, al senso di rassegnazione. Data l’impunità, a dieci anni da quei fatti, si certifica il fallimento completo del sistema della giustizia indiana. Questo anniversario decennale dovrebbe essere un’opportunità per estendere solidarietà e sostegno ai sopravvissuti nella loro ricerca della giustizia”, prosegue. Athialy conclude: “Facciamo oggi appello alle forze democratiche per rinnovare l’impegno a far fronte alla crescente ondata di violenza comunitaria promossa dalle forze fedeli all’ideologia dell’hindutva”. (PN) (Agenzia Fides 24/8/2018)